sabato, giugno 20, 2009

Washington Dc, puntata ventitre. Lovers in Dc

Ci volevano Ilario e Christina per farmi fare la turista. Alla fine Alfonso, per motivi non meglio specificati, non è venuto. Di Washington avevo visto molto, ma tutto con poca attenzione, passando davanti ai monumenti sempre diretta da un’altra parte. Dovendo fare da guida turistica alla coppia italo-americana i vari monumenti sono finalmente diventati la mia meta.

Da Capitol Hill al Lincoln Memorial, passando per il Mall, la casa Bianca, Gorge Town e tutto ciò che c’era da vedere: un weekend di camminate e chiacchierate. Davvero due giorni piacevolissimi, e non solo per il posto, ma per la compagnia…come al solito.

Ilario e Christina vivono in due continenti diversi, lei protestante lui cristiano, lei vegetariana lui…più che onnivoro direi. Nonostante ciò stanno ancora insieme e fanno di tutto per vedersi il più possibile. Ilario ha chiesto lo stage all’Ansa di New York per poter stare un po’ più vicino a Chris… in barba a chi gli ha sempre detto che la loro storia era destinata a finire solo perché al loro posto non sarebbe stato in grado di farla continuare.

La capacità di sopravvivenza d’una storia d’amore non sta nella distanza o nella vicinanza ma nella capacità di sopportazione delle persone, che poi è direttamente proporzionale a cosa uno riceve dall’altro. Ilario e Christina sopportano le differenze religiose, quelle alimentari e soprattutto la distanza perché, evidentemente, quello che si danno a vicenda pesa molto di più di tutte queste sofferenze. Io se staranno insieme per sempre non lo so, ma quello che so è che hanno tutta la mia ammirazione per il fatto di starci ancora e per il progetto di rimanerci. A dimostrazione che per stare insieme non serve nulla di più che amarsi.

Mentre ero con loro ho scattato diverse foto a coppie di innamorati che improvvisamente hanno iniziato ad attirare la mia attenzione. Credo che ci siano sempre stati, ma ieri ho notato la luce nei loro occhi, una luce che solo la vista della persona amata ti può dare. Non dovevo scattare molteplici foto per “farli venire bene”, come quando ci si mette in posa. Erano così belli l’uno nell’altro che uno scatto era più che sufficiente a immortalare la bellezza del loro sguardo.

Tornando a casa dopo aver ringraziato Christina e Ilario per avermi fatto FINALMENTE fare la turista in una delle città che amo ho guardato le foto nella macchinetta. Solo allora mi sono accorta che scattando le foto agli innamorati (Ilario e Christina compresi!) spesso i monumenti si erano messi in posa alle loro spalle per avere una foto con quella luce.

sabato, giugno 13, 2009

Washington Dc, puntata ventidue. Aspettando tre buoni amici e un premier

Si prospetta un weekend lungo e faticoso. Da New York arrivano domani Alfonsino, Christina e Ilario, in orndine alfabetico. Cioe', non e' che arrivano da New York in orndine alfabetico, io li ho presentati cosi'... ma lasciamo stare. E domenica arriva da Roma Silvio Berlusconi.

Devo organizzare per il terzetto un tour della citta' da vedere in 24 ore e poi... poi, appena lasciati loro al pullman domenica, cambiare la divisa da turista con la tenuta da lavoro e raggiungere il premier italiano che arriva alle 8 all'aeroporto e seguirlo per la citta' per conto dell'Ansa fino all'arrivo in albergo...

Si si (che vorrei scrivere con l'accento ma le tastiere americane non ce l'hanno), si (questo senza accento) prospetta proprio un bel weekend, distruttivo abbastanza da potersi divertire un sacco...

Aspettando i newyorkesi do a tutti appuntamento a lunedi', se sopravvivo..visto che anche lunedi' mi manderanno a rincorrere Silvio: ne sono certa...

Anzi, vi faccio un anticipazione (che poi e' una mia previsione personale): Silvio arriva domenica sera e riparte lunedi' sera... nella nota con tutti gli appuntamenti la mattina di lunedi' c'e' un buco di 4 ore, la versione ufficiale e' che vuole prepararsi per incontrare Obama... io so che sta per combinare qualcosa... e siccome tutti i giornalisti dell'Ansa si sono spartiti le questioni ufficiali, quando Silvio fara' la mattata d'andarsi a vedere inaspettatamente qualche monumento o d'andare a prendersi un aperitivo a Georgetown (per poi far tardi, da ottimo rappresentante degli italiani, all'incontro con Obama), io ho gia' una vaga idea di chi saranno i due fortunati a dover scarpinare per tutta Washington per seguirlo con penna, carta, calamaio e macchinetta fisher price...

venerdì, giugno 12, 2009

Washington Dc, puntata ventuno. La mia prima scena del crimine




"Andiamo a pranzo, andiamo apranzo, andiamo a pranzo". Ieri Luca (l'altro stagista dell'Ansa), puntuale come sempre, si e' presentato con la solita finta insistenza alla mia scrivania per andare a pranzo. Con altrettanto finta espressione scocciata gli ho detto che andavamo, mettendo in piedi la consuetudinaria scenetta quotidiana che si ripete verso l'una dal giorno del suo arrivo.

Usciamo, destinazione Mc Donald. Per la strada, come sempre, parliamo dello stage e del futuro del giornalismo, l'importanza delle nuove tecnologie e il cambiamento del mondo della comunicazione. Luca e' appassionato di tecnologia, videogame, computer e affini. Il suo preferito e' l'I-phone...io ho provato a spiegargli che il Black Berry e' meglio perche' l'I-phone e' piu' un giocatoletto per adolescenti, ma non glielo ripetero' piu'... e' cosi' appassionato che potrebbe prenderla come un'offesa personale.

Avevamo appena finito di degustare il nosto Mc Chicken quotidiano quando squilla il mio telefono. Un vecchio motorola gentilmente concessomi dall'Ansa per ricevere chiamate in America. Quel telefono non ha internet (ovviamente) , non ha la fotocamera e non ha nemmeno gli mms. Pero' chiama e riceve...che non mi pare poco. Al telefono era Marco: "C'e' stata una sparatoria al museo dell'olocausto, e' subito dopo il Mall, andate li' immediatamente e vedete che succede".

E' la mia prima scena da l crimine: arriviamo che la polizia sta chiudendo tutta la zona coi classici nastri gialli. E' pieno zeppo di forze dell'ordine: dai poliziotti a cavallo all'esercito, agli artificeri, ai due elicotteri che sorvolano rumorosamente la zona disturbando il lavoro di tutti gli altri. Ci sono miriadi di giornalisti, e una trentina di televisioni.

Ci mettiamo una vita a capire cosa fosse successo, le informazioni arrivano frammentate e ogni volta chiamiamo in redazione per aggiornare i dati che hanno. Alla fine di tutto scopriremo che un novantenne pazzo e farneticante per la supremazia della razza ariana era entrato al museo armato di fucile e aveva sparato cinque colpi uccidendo una guardia prima d'essere a sua volta ferito. Ma mentre eravamo li' dovevamo districarci tra la gente che correva, la polizia che tentava di ammassare tutti i giornalisti in uno spazio troppo angusto e i trucchi per terra. Ebbene si, perche' quando da casa voi vedete lo stand up dei giornalisti li vedete dalla cintola in su...io ieri ho scoperto cosa c'e' sotto: qualcuno indossava addirittura le ciabatte, ma tutti avevano una trousse piu' o meno piccola coi trucchi, uomini compresi. Sopratutto uomini. Il piu' bello di tutti era un signore pelato che ogni qual volta si spegneva la telecamera si incipriava la testa. Alle due del pomeriggio a Washington (la citta' piu' umida d'america) con 35 gradi all'ombra stare sull'asfalto al sole a lavorare e' davvero dura. Sopratutto se sei pelato.

Io giravo col mio taccuino e la mia penna alla ricerca di turisti che si fossero trovati dentro al momento della sparatoria. Appunti, appunti, appunti. Idem per la conferenza stampa del sindaco (inciso: il Washington Mayor e' pelato pure lui, ma per lui niente cipria...quando l'ho visto in tv c'era uno srano effetto: sembrava si stesse squagliando!) e quella del capo della polizia. Dato che c'ero, con la mia macchinetta (ho questa pessima abitudine di portarmela sempre dietro) ho scattato qualche foto.

Intorno a me la gente ha super teleobiettivi, videocamere e Black Berry con cui manda le notizie in redazione. Luca e' disperso...per un po' ci siamo persi di vista.

Torniamo in redazione distrutti dopo due ore. Io sembro uscita dalla doccia tanto sono sudata, luca dal forno: era rossissimo, sembrava fosse andato in spiaggia il 15 agosto senza protezione solare. Marco aveva fatto il pezzo mixando le nostre info con quelle della tv. Il servizio l'avevamo portato a casa...con carta, penna e calamaio, ma l'avevamo riportato. Era stato cosi' eccitante. Sembravo una giornalista in missione nel futuro col mio taccuino e la mia biro, ma l'importante era avercela fatta.

(Inciso: A un certo punto avevo pure chiesto al capo della polizia di fare lo spelling del suo nome per essere sicura d'essermelo appuntata bene sul mio mini-taccuino rosso rubato a mio fratello prima di partire. Dopo esser toranta in redazione gli altri che avevano seguito la cosa in tv m'hanno chiesto: "Ma eri tu ad aver chiesto al polizioto lo spelling del nome? Ti sei sentita dal microfono della Cnn!"...che vergogna...)

Seduta alla mia scrivania a godermi la bendetta aria condizionata mi viene un dubbio: "Marco, ma come mai avete chiamato me e non Luca?" e lui: "Perche' l'I-phone di Luca squillava in redazione quando abbiamo chiamato!". Luca: "Eh, l'ho lasciato qui! ma ti pare che vado a pranzo col telefono, per 5 minuti!". Io: "Luca, ma mi spieghi che te ne fai dell'I-phone se non te lo porti dietro quando serve?". Marco: "avresti potuto farci le foto". Io: "Guarda, io se la volete qualche foto ce l'ho... l'ho fatta con la mia macchinetta, che e' tipo una macchinetta gioccatolo Fisher-price, pero'...".

Non sono convinti. Mi metto a scaricarmi le foto sul computer per conto mio: se loro non le vogliono le metto su facebook... Mentre sto facendo questo lavoro le faccio vedere a Marcello e Luciano. "Ok Monia, chiama l'infografica: sono meglio di quelle che abbiamo comprato dai fotografi, gliele mandiamo". Ho rinunciato ai miei diritti sulle foto e alla possibilita' di metterci il nome (temevano potessi fargli causa per essere assunta!) pero'...sono uscite sul sito dell'Ansa (nonostante la risoluzione non rispettasse gli standard) e su tutti i circuiti dei giornali.
Se avessi voluto dei soldi non me le avrebbero pubblicate... ho deciso che m'andava bene il mondo vedesse le mie foto e le mie tasche non vedessero una lira, tanto ci sono abituate. La soddisfazione mi basta.

MORALE DELLA FAVOLA: Cosa ho imparto oggi per la mia futura carriera? Che devo assolutamente comprare un Black Berry se voglio sopravvivere ma che bisogna sempre portare sempre con se carta, penna, calamaio, macchinetta fisher price e telefono dell'anteguerra, perche' e' vero che l'I-phone contiene in se' tutte queste cose ma se lo si lascia in redazione per andare a pranzo i vecchi mezzi possono rivelarsi ancora moooolto utili....

giovedì, giugno 11, 2009

Washington Dc, puntata venti. Il 10 giugno in Dc


Questo post e' un post fotografico. Le parole non possono aggiungere nulla all'immagine: sembra Autumn in New York, ma si tratta di Summer in DC!
Se c'e' un'unica cosa che non mi piace di questa citta' e' il tempo... ... ... si continua a passare repentinamente dal gelo all'afa e viceversa...

lunedì, giugno 08, 2009

Washington Dc, puntata diciannove. ...to New York

New York invece non era come me la ricordavo. Assolutamente. I grattacieli erano piu’ alti e i segni della guerra erano scomparsi. Quale guerra? L’unica che gli Usa abbiano mai vissuto direttamente oltre a quella d’indipendenza: il 9/11 come lo chiamano loro, una guerra fatta d’una sola battaglia, un vigliacco attacco alla popolazione civile che cambio’ il mondo.

Quando venni nel 2002 a Ground Zero c’erano ancora le gru a scavare e i cani poliziotto ad annusare le macerie di un anno prima, la loro stremante ricerca di resti umani o tracce d’esplosivo per capire cosa fosse successo non era ancora finita. Attorno alla zona c’erano tutti i segni del calore che un anno prima s’era sprigionato nel crollo: nessuno aveva sostituito i semafori che continuavano a regolare il traffico benche’ squagliati, i muri e le indicazioni stradali erano impregnati di nero e tutto intorno era pieno di reliquie: foto che portavano tristemente la scritta “missing” per persone che tutti sapevano non poter essere mai ritrovate, oggetti di ogni sorta, cappellini, e peluches soprattutto. Ovunque fiori per quella che era una tomba a cielo aperto. Era il luogo piu’ triste del mondo. E siccome migliaia di morti sono una statistica ma uno solo e’ una tragedia, di tutti quei ricordi uno solo ve ne voglio raccontare: nel 2002 tra tutti quegli oggetti la mia attenzione fu attirata da un paio di punte rosa che spuntavano da una montagnola d’oggetti. Le tirai fuori: a occhio e croce erano un paio di scarpe numero 28-30, sotto le suole un pennarello nero aveva segnato una data (che non ricordo) e queste parole (che ricordo benissimo): “My first ballet. Mom, you were not here”. Le scarpette le riposi rispettosamente sotto gli altri oggetti.

Otto anni dopo e’ tutto sparito. Il buco a terra c’e’ ancora ma tutto intorno hanno alzato delle transenne con cartelloni pubblicitari cosi’ non si puo’ vedere dentro, e niente reliquie nella zona circostante. Ci sono i semafori nuovi a regolare il traffico, i palazzi sono stati riparati e ridipinti, le gru sono sparite e i cani poliziotto quasi tutti morti di tumore ai polmoni. Molti hanno anche ricevuto una medaglia al valore. Mi sono sempre chiesta che cosa se ne faccia uno delle medaglie d’oro dopo morto… che cosa se ne facciano i cani poi, e’ un mistero ancora piu’ grande.

La New York che vidi nel 2002 non e’ la stessa che ho visto ora. Allora l’Hotel Hilton, adesso una camera d’albergo per 4 divisa tra 6 persone e il bagno sul piano condiviso, tanto per dirne una. Allora vidi i musei, adesso la citta’. Allora vidi la statua della liberta’, stavolta la statua della liberta’ e’ l’unica cosa rimasta fuori dal tour. Allora ero li’ in vacanza, adesso per il compleanno di Rachel, una nuova amica conosciuta a Washington. Allora ero con tutti i ragazzi della parrocchia di Sant’Agostino di Rieti, adesso con persone provenienti da tutto il mondo incontrate per caso nella capitale degli States. Allora attraversammo il ponte di Brooklin con dodici taxi gialli per tornare a prendere il pullman che ci avrebbe portato all’aeroporto, adesso ce lo siamo fatto a piedi per scattare delle foto ricordo. Allora aspettammo le otto ore di ritardo portate dal nostro aereo a causa di un uragano per vedere dall’oblo’ tutte le lucine dei grattacieli cercare di fare il verso alle stelle del cielo, adesso siamo arrivati in piena notte e tutte quelle lucine a New York ti impediscono di vedere il cielo.

Un’unica cosa e’ stata la stessa: c’e’ un motivo se New Yor e’ detta la “City that never sleep”…in entrambe i viaggi non sono riuscita a dormire…

Washington Dc, puntata diciotto. From Philadelphia...


Finally America.

Washington e’ bellissima, la adoro, ma forse la adoro proprio perche’ mi ricorda tanto quelle cittadine europee coi palazzi in vecchio stile, c’e’ molto verde, e si va dappertutto a piedi. Il fatto e’ che qui non ti senti in America. Puoi sentirti “a casa”, ma non in America. E per quanto l’immagine della Casa Bianca che tutte le mattine incontro andando al lavoro provi a convincermi, a persuadermi del contrario, io continuo a pensare che mi sta mentendo. E’ piu’ probabile che la presidenzial residenza sia un miraggio che non che questa sia l’America.

L’America la siamo andati a trovare nei weekend, quello scorso siamo andati a Philadelphia, quello appena passato a New York. Io ho proposto in entrambe i casi di scrivere al Guinnes World Record: siamo stati capaci di vedere le intere citta’ dedicando un giorno a ciascuna, ogni volta 12 ore ininterrotte di cammino…camminare, camminare, camminare.
E’ proprio vero: se vuoi vedere il mondo l’unica cosa di cui hai bisogno sono un buon paio di scarpe … credo che sia possibile misurare quanta America ho visto valutando l’assottigliamento delle suole delle mie puma.

Philadelphia e’ esattamente come te la aspetti. Non e’ una citta’, e’ una cartolina ritagliata dalle scene di film famosi e videoclip musicali. Non c’e una cosa normale, una sola. Niente. Esistono muri che sono opere d’arte fatte coi rifiuti, negozi di chincaglierie accanto a gioiellerie di prima classe, concerti sul molo in pieno giorno e bambini che fanno il bagno nelle fontane. Turisti che fotografano tutto, ragazzini sugli skateboard, sposi finti che posano per un servizio sulle scale di Rocky e innamorati veri che si fotografano con l’autoscatto vicino la fontana dell’amore. Nei ristoranti i bianchi sono quelli che mangiano,i neri quelli che cucinano, gli ispanici quelli che lavano i piatti. Qui sai d’essere in America perche’ niente e’ normale, e non sei normale neanche tu. E’ questo il momento in cui capisci che la normalita’ e’ una grande bugia: non esiste. “Normale” presuppone che ci sia uno standard a cui tutti appartengono, ma siamo tutti cosi’ diversi che non credo sia possibile trovare nemmeno una coppia di persone in tutto il mondo simili abbastanza da poter costituire il metro della normalita’. A Philadelphia ho imparato che siamo tutti strani a modo nostro. E quelli piu’ strani sono proprio quelli che si credono normali perche’ credono d’essere qualcosa che non esiste...

Solitamente quando si torna da un viaggio c’e’ sempre qualcuno che ti chiede: cosa ti e’ piaciuto di piu’ della citta’. In questo caso io direi la compagnia. Sono fortemente tentata dal pensiero che una citta’ non sia bella o brutta in se’. Il ricordo che tu ne hai dipende dalle persone che ci hai incontrato o da quelle con cui ci sei andato… cosi’ Roma potrebbe essere la citta’ piu’ brutta del mondo e il deserto il posto piu’ bello. Puo’ darsi che Philadelphia mi sia piaciuta tanto per come ho condiviso con gli altri ogni cosa che vedevamo, ogni cosa che facevamo, ogni momento cha abbiamo passato insieme.

venerdì, giugno 05, 2009

Washington Dc, puntata diciasette. programmando New York

Partenza alle 6 pm, arrivo (presunto, taffico permettendo) alle 11. Destinazione New York.

Questo accade domani. Adesso dovrebbe accadere che dovrei preparare il bagaglio per il weekend, ma... credo che sto aspettando l'ispirazione perche' ogni scusa e' buona per non farli.

No, davvero, mi sto impegnando ma poi...poi mi accorgo, per esempio, che devo scrivere le cartoline e siccome la cosa mi sembrava piu' urgente dei bagagli ho scritto le cartoline. Poi ho realizzato che non posso andarmene senza pagare il conto entro il 5 del mese quindi...ho dovuto scrivere una mail all'ufficio del college per dire che non passero' di persona, poi dato che c'ero ho controllato facebook e...vabbe', insomma, avete capito.

Perche' non vado ora?: Perche' ho improvvisamente realizzato che non vi ho raccontato di quando i miei panni (ero qui da una settimana) sono vanished, desappeared, SCOMPARSI NEL NULLA. Allora questo mi sembrava un buon momento per farlo (tanto perche' l'ultima volta vi avevo promesso un post divertente... non so se lo sara', ma vi assicuro che la scena che sto per raccontarvi lo fu).

Ero alla mia prima lavatrice. Metto i panni dentro, il sapone, avvio con un lavaggio a caso. Il timer dice che posso tornare dopo 40 minuti e trovero' i miei panni puliti. Torno dopo 45 o 50 e... DOVE SONO I MIEI PANNI? Nella lavatrice ci sono quelli di qualche d'un altro.

Metto sottosopra la lavanderia ma niente. A un certo punto arriva pure Alex, che stava facendo la sua di lavatrice, e gli chiedo aiuto. In due guardiamo per 20 minuti buoni ma NIENTE i panni non ci sono.

Bene....vado a fare la mia figuraccia (ero arrivata da una settimana...giusto per presentarmi bene) nella sala comune. 30 persone al tavolino e io:"Scusate, qualcuno ha preso i miei panni per errore? Erano nella lavatrice, ma si sono volatilizzati!".

Tutti a ridere...ogni tanto c'e' ancora qualcuno che racconta la scena.

Nessuno sapeva nulla, nessuno li aveva presi. OK, CI PENSO IO: sono italiana, non si puo' venirea rubare a casa dei ladri.

Armata di carta, penna e calamaio (si fa per dire) riscendo nella lavanderia e scrivo un biglietto: "Caro ladro dei miei panni, presupponendo che tu sia la stessa persona che ha messo i panni nella lavatrice dove erano i miei, HO RAPITO I TUOI! Se li vuoi indietro fammi riavere la mia roba. Grazie!".

Nessuno tuttora sa chi sia stato, ma dopo mezz'ora magicamente i miei panni erano di nuovo nella lavanderia...

Ormai mi sono rassegnata a questo tipo di cose. Quello e' stato solo il primo d'una lunga serie di piccoli scherzi quotidiani che vanno dalla sparizione di chiavi e telefoni alla comparsa di cibo nei miei piatti, agli appuntamenti datimi 20 minuti in anticipo (cosi' arrivo puntuale) alle continue battute sul mio accento.

Si divertono tutti, io piu' di loro. E come disse una volta il buon caro vecchio Mike che e' partito tre giorni fa lasciando in sospeso il nostro campionato di ping pong tra capre: "Se ti fanno gli scherzi e' perche' qua dentro stravedono tutti per te".

La gente non credo straveda, credo semplicemente si diverta, ma per me e' piu' che abbastanza.

L'ultimo scherzo (artefici 6 ragazzi contemporaneamente!) va avanti da due giorni: si tratta di mettermi in imbarazzo facendomi la corte davanti a quanta piu' gente possibile...si va dai fiori, alle belle parole, ai baciamano, a.... qualcuno ha mandato un messaggio in un italiano improbabile a mio padre per chiedere la mia mano.... HO DETTO TUTTO.

A giudicare da quanto il mio imbarazzo li diverta deduco che lo scherzo andra' avanti ancora per mooooolto tempo, almeno finche' non mi convincero' davvero che "la sera il sole se ne va perche' io esco dall'ufficio"...

MMM...ora che ci penso...i sei pazzi della corte spropositata sono tutti nel mio stesso pullman domani (vedi il caso: tre pullman, io capito con loro!)...la vedo dura, molto dura arrivare a New York...indenni, ecco, adesso ho l'ispirazione: vado a fare i bagagli! :(

p.s. bilancio di mezz'ora in sala computer: un abbraccio (unico vero: Tom ha appena VINTO, questo mi pare il termine piu' appropriato, un lavoro alle Hawaii!), due proposte improbabili, tre baci, quattro baciamano e cinque falsi complimenti....e ci sono solo due dei sei giocherelloni...miiiiii come la vedo dura domani!!!