venerdì, maggio 29, 2009

Washington Dc, puntata sedici. Andare avanti

Mi chiedo perche' R. non me l'abbia detto subito. Anche se forse la so la risposta. Cosi' come sapevo che c'era qualcosa e che la risposta che m'aveva dato non era vera. Ma avevo deciso di credergli.

R. e' un ragazzo solare. Si porta dentro il sole spagnolo. R. sorride sempre e ride spesso, ma i suoi occhi non accompagnano mai la bocca.

"Che t'e' successo?".
"Niente, una giornata pesante, tutto qui. Perche' me lo chiedi?".
"Cosi' per sapere, ma non intendevo oggi. Che t'e' successo nella vita intendo..."

Non sapevo che quest'ultima domanda posta a una decina di giorni dal mio arrivo m'avrebbe tenuto quasi una notte intera ad ascoltare uno sconosciuto raccontarmi la sua vita in giardino. Un'adolescenza di amizie sbagliate e la voglia, la forza e la capacita' di rifarsi una vita all'universita'. Stavolta persone giuste, amici veri. Quelli vecchi adesso hanno tutti una pessima vita. Quelli nuovi sono irrinunciabili.

Tutto questo non spiegava il velo di malinconia dei suoi occhi ma non so perche' mi convinsi che tutto cio' che mi aveva raccontato poteva essere una spiegazione. Sapevo che non lo era ma me ne convinsi. Forse ero solo stanca e volevo andare a dormire. Forse l'aver avuto una bella chiacchierata aveva dato alla mia curiosita' un'irreale sensazione di sazieta'.

Non lo so. Quello che sapevo e' che R. quella sera tralascio' di dirmi qualcosa. Quello che so ora e' che le cose erano due.

La prima e' che sarebbe partito il giorno dopo. La sua partenza mi causo' due giorni di malinconia: fu il momento in cui realizzai che non avrei mai piu' rivisto tutte insieme le persone che sto incontrando in questa magica esperienza. Fu il momento in cui feci il proposito di non affezionarmi alle persone. Fu il momento in cui iniziai a disattendere in maniera irreparabile il mio proposito.

Della seconda cosa ho saputo solo oggi l'esistenza. E' quella che spiega la malinconia dei suoi occhi. Non so come con Leo siamo finiti a parlare di R. E non so come mi e' tornata in mente quella domanda: "Leo, ma che e' successo a R.?".

Leo tra impicci e imbrogli per alcuni casi strani della vita ha vissuto in questo college per 10 anni. Non filati, ma saltuari. Risultato: sa tutto di tutti. Se vuoi sapere qualcosa, lui e' la fonte giusta.

Ma bisogna saperlo far parlare. Dopo un po' di giri di parole ho scoperto che era successo a R.

R. sei anni fa, andando all'universita' aveva conosciuto delle persone migliori di quelle che aveva incontrato al liceo. R. aveva cambiato vita. S'era trovato una ragazza eccezionale. Erano giovani, ma avevano deciso d'andare a vivere insieme. Una casetta da condividere perche' il tempo passato insieme non e' mai abbastanza quando ci si ama, allora tutto va ottimizzato. Non abbiamo idea di quanto poco tempo abbiamo da trascorrere con al persona che amiamo, allora e' meglio ottimizzarlo e passare insieme quanti piu' momenti possibili perche' ogni minuto puo' valere una vita intera.

Vivevano insieme da quattro anni quando R. ha detto alla fidanzata: "Dai, oggi ti porto a cena fuori. Faccio un po' tardi, vediamoci direttamente al ristorante". R. tornava dall'universita', lei partiva dalla loro modesta casetta di studenti.

R. quella sera aspetto' due ore la fidanzata. Provo' a chiamarla diverse volte, poi torno' a casa. Non la trovo'. Un poliziotto trovo' lui. C'era stato un incidente d'auto. Lei non l'avrebbe mai piu' portata a cena fuori.

Io non lo so quanto R. abbia pianto o sofferto. Ma so che ha ancora un sacco di lacrime incastrate negli occhi. Ecco cos'era quel velo di tristezza. Ecco perche' quando sorrideva i suoi occhi rimanevano melanconici.

R. andra' avanti. R. sta andando avanti. R. e' venuto in Dc per costruirsi un futuro. Un futuro che aveva progettato con lei. Con lei che sicuramente gli mettera' sul cammino un'altra donna che potra' farlo nuovamente sorridere. Lui e i suoi occhi. Almeno io glielo auguro.

Washington Dc, puntata quindici. Perche' sono qui

Monia stasera vorrebbe essere a casa sua davanti al caminetto con Francesco per dirgli una cosa. Solo che una casa sua Monia non ce l'ha. Non ancora. Non ha neanche un camminetto. Ha solo Francesco. Che non e' poco, ma e' dall'altro capo del mondo.

Allora Monia stasera si accontenterebbe pure di non avere una casa e un caminetto pero' vorrebbe almeno non avere Francesco dall'altro capo del mondo.

E' in una biblioteca di Washington che pensa che stanno insieme da 1514 giorni, 16 ore e 22 minuti ma di tutto questo tempo forse e' un terzo quello che hanno passato davvero insieme, mano nella mano.

Mentre pensa tutte queste cose si ricorda perche' e' qui: per invertire la proporzione. Per fare si' che alla fine della vita sia piu' il tempo passato mano nella mano che quello lontani. Per costruire quella casa. La casa vicino al mare col giardino, il cane, il gatto e il cammello che Francesco vuole tanto. La casa con la palizzata bianca fuori e il caminetto per fare le castagne dentro.

Monia a Francesco sognano di passarci la vita in quella casa, ma probabilmente se la potranno costruire solo coi soldi della liquidazione (se mai ne avranno una) dopo qualche anno dalla pensione...per il resto della vita saranno sbattuti qua e la da un appartamento all'altro.

Ma va bene cosi'. Infondo le cose si fanno passo passo. Se le case con le palizzate bianche fuori e i caminetti per le castagne dentro sono tanto belle forse e' proprio perche' si costruiscono coi sacrifici di una vita e non coi soldi di un momento. Si mettono su mattone dopo mattone e pure quando sembrano finite non lo sono: ogni estate c'e' la palizzata da ridipingere, il prato da tosare, il caminetto da ripulire.

Ci vuole una vita.

Una vita ad aspettare di stare davanti a quel caminetto mano mano nella mano per dire a Francesco tutto quello che avrei bisogno di dirgli adesso... che poi alla fin fine magari non e' cosi' complicato come sembra adesso nei miei confusi pensieri, magari si puo' esprimere in poche parole, magari in una sola domanda: "Quando torno andiamo a comprare un secchio di vernice bianca per quella palizzata?"

lunedì, maggio 25, 2009

Washington Dc, Puntata quattordici. "Una settimana da Dio"...o meglio, COME Dio...

Questo post e' teologico filosofico. Gli aneddoti in esso inclusi sono noiosi e poco interessanti per chi volesse sapere che cosa io stia facendo. Piu' che una pagina di diario e' una raccolta di peregrinazioni mentali per i piu' stupide e senza senso. Siete stai avvisati. Ora se volete continuare a leggere fatelo a vostro rischio e pericolo. il mio consiglio e' quello di aspettare il prossimo post... Uomo avvisato...

Oggi pomeriggio ho parlato con Keko..su Msn. Keko e' davvero giu' di morale. Ed e' impossibile tirarlo su. Ci sto provando in tutti i modi, ma niente. Non c'e' cosa peggiore che parlare con chi non ti ascolta. Comunque io continuo a parlare..sono convinta che un giorno mi ascoltera'. Se non lo fara' perche' ha voglia lo fara' perche' non ne puo' piu' di starmi a sentire.

Durante la nostra conversazione ho cercato di fargli capire quanto il COME sia importante nella vita. Lui si chiedeva PERCHE'. Credo che tutti almeno una volta nella vita abbiano chiesto a Dio "Perche' a me?". Parlavamo di questo. Lui mi ha posto la domanda e io gli ho detto: "Se fossi Dio sai che ti risponderei? 'Perche' no?' ". Lui non capiva... ma non c'e' molto da capire. La domanda importante nella vita non e' "perche'?". E nemmeno "Cosa". Ma COME.

Quello che conta nella vita e' il COME. Prendiamo un film, o un libro, o una storia. Quello che volete. Spesso nel titolo c'e' gia' la fine. Spesso dal trailer gia' si sa chi morira'. Spesso dalla copertina si intuisce chi perdera' cosa. Allora se gia' sappiamo come finisce perche' ci andiamo a vedere il film? Perche' compriamo il libro? Perche' vogliamo sapere COME.

Prendi il film "sette anime". Lo sai fin dall'inizio che Will Smith morira'. Quello che non sai e' come. E' il come a rendere bella quella storia, a lasciarti senza fiato, a farti uscire dal cinema con la sensazione "da domani si cambia vita". A rendere bella o brutta una storia non e' cosa succede, ma COME.

Con la vita e' lo stesso. Questo cercavo di spiegare a Keko. Non importa cosa accade o perche', ma COME tu ti giochi la tua vita. Come reagisci alle cose, come muovi le pedine sulla scacchiera, come guardi alle persone intorno. COME.

Ed e' inutile chiedere a Dio perche'. Primo perche' tanto quasi mai te lo dice li per li, al massimo te lo fa capire dopo anni. Secondo perche' tanto Dio ha comunque ragione. in quanto Dio si presuppone che la sua sia la scelta giusta e la tua quella sbagliata. Lui e' Dio. Fine della discussione.

Di questo parlavo l'altro giorno con Charbel. Quel ragazzo m'ha stupito. Non so come ma ci siamo messi a parlare delle preghiere. Forse merito delle birre che giravano in giardino. Lui mi fa: "Sai, tante volte ho bisogno di cose che inizio a chiedere a Dio... ma le voglio proprio. Allora faccio: Dio, per favore, aitami in questo, dammi quest'altro, fai che questo si realizzi ecc. Poi mentre gli espongo i miei desideri mi vedo davanti che cosa succederebbe se si avverassero e solitamente finisco la mia preghiera con: Vabbe' Dio, sai che c'e'... non fa niente, mi sa che e' meglio che decidi tu cosa e' meglio per me. Fa come ti pare".
Ecco, la chiave di tutto sta in quel "Fa come ti pare". Fa COME ti pare. COME.

Credo che questo sia l'approccio corretto per relazionarsi a Dio. E poi essere Dio mica e' facile!
Oggi sono andata a messa. La predica americana e' stata un'americanata. No davvero..in Italia non sarebbe mai successo. Ma e' per questo che m'e' piaciuta: il prete ha usato il film "Una settimana da Dio" per spiegare il Vangelo. Un film comico con Jim Carrey per spiegare il Vangelo. Magari e' strano, ma HA FUNZIONATO. Credo che tutti abbiano capito il messaggio: e' inutile prendersela con Dio tanto nessuno di noi al suo posto sarebbe capace di fare meglio. Jim Carrey ci ha provato, ma... alla fine ha concluso che se Dio e' Dio e' perche' solo Lui puo' esserlo e se passassimo piu' tempo ad apprezzare cio' che ci da piuttosto che chiedere cio' che non abbiamo (che, come insegna Charbel, il piu' delle volte non ci serve neanche) saremmo molto piu' felici.

Tanto per cocludere la puntata teologica del mio viaggio concludo con questo aneddoto. L'altro giorno con Halim stavamo facendo jogging nel parco della Casa Bianca. L'ossigenazione delle gambe deve aver reso scarsa quella del cervello perche' abbiamo intrapreso una discussione surreale su cosa sia il paradiso. Beh, dopo ore di progettazione abbiamo concluso che e' il posto dove finalmente rivedrai tutte le persone a cui hai voluto bene nella vita, che hai incontrato nell'arco del tuo cammino e che per un motivo o per un altro si sono allontanate.

Poi ci siamo accorti (o meglio, lui si e' accorto!) che la cosa non funzionava. Io: "Wow, ma i rendi conto che hai risolto il mio problema che mi rendeva malinconica questi giorni?" (Per la cronaca: il problema e' che in seguito alla partenza di alcune persone con cui avevo legato me ne sono andata in depressione: ho improvvisamente realizzato che posso si' rincontrare anche tutte le persone che conosco qui, ma una o alla volta; non staremo mai di nuovo tutti insieme COME adesso a fare le stesse discussioni e cretinate). Lui mi risponde: "Davvero?". Io: "Si. ero triste perche' pensavo che non ci saremmo mai piu' rivisti tutti insieme, invece un giorno, benche molto lontano (si spera) staremo di nuovo tutti insieme a giocare a pallavolo col Chiuahua team!". E lui: "Ne sei sicura?". Io: "Si! non ci credi nel paradiso?". Lui, spiazzante: "Nel paradiso si', ma sei sicura che ci staremo di nuovo tutti insieme? proprio tutti?".

M'ha fatto morir dal ridere. Io so che ci staremo tutti perche' su paradiso, inferno e purgatorio c'ho una mia teoria che non posso scrivere senno' mi scomunicano, pero'...m'ha fatto morir dal reidere la sua uscita. E' stato il momento in cui ho capito che PER SICUREZZA (metti caso la mia teoria teologica sia fasulla) e' meglio vivere tutto al meglio, "fare i bravi" come si dice ai bambini.
Il premio e' poter rincontrare tutte le persone a cui abbiamo voluto bene. Dal compagno di banco dell'asilo con cui abbiamo condiviso tre anni della nostra vita ma di cui non ci ricordiamo il nome, al vicino di letto dell'ospizio o dell'ospedale con cui abbiamo condiviso qualche ora prima di morire e di cui sappiamo solo il nome, perche' non abbiamo avuto il tempo di chiedergli COME e' stata la sua vita.

Perche' alla fine di tutto, in punto di morte le persone nel domandarsi se meritano il paradiso non si chiedono "cosa" o "perche'" e' stata la loro vita, ma COME.

mercoledì, maggio 20, 2009

Washington Dc, puntata tredici: Our Crazy nights

Ho scoperto che esiste un quaderno dove i residenti di Ish possono annotare i problemi che ci sono in casa. Dal richiedere cibo migliore al comunicare che si vorrebbe cambiare stanza, dall’informare che un rubinetto non funziona ad avvisare che s’e’ verificato qualcosa di strano.

Ad averlo saputo prima avrei scritto che avevo un topo in camera, ma forse e’ stato meglio scoprirlo quando il topo se ne era gia’ andato da solo…mi sarebbe dispiaciuto ritrovarlo morto in qualche trappola.

Nel quaderno e’ contenuta in piccole note la vita della casa: il giorno tal dei tali qualcuno ha rotto il forno, il giorno dopo qualcuno chiedeva il burro di arachidi per colazione, il giorno dopo ancora qualcun altro si lamentava del proprio nuovo compagno di stanza appena arrivato…salvo poi dopo qualche pagina (corrispondete a qualche mese) dichiarare che quel compagno rumoroso nel mentre era diventato il proprio migliore amico.

Quel quaderno io lo vorrei leggere tutto. Per ora ho visto solo delle note qua e la’, ma l’ho trovato geniale. E’ incerdibile come la gente faccia cose di cui non conosce la portata: stiamo tutti scrivendo un’opera collettiva che potrebbe essere pubblicata.

Tutte le note sono firmate, eccetto una. L’ultima. La piu’ importante. Quella che mi riguarda.
Quella per cui sono venuta a conoscenza dell’esistenza del quaderno. Nell’ultima pagina scritta si legge:

16-06-2009
“Un gruppo di studenti, per la seconda sera di fila, si e’ messo a cantare e giocare fuori dalla porta arrecando disturbo al vicinato. I ragazzi, tornati ubriachi alle 4 di mattina dopo aver giocato a pallavolo di notte, hanno stazionato fuori dall’entrata per un’ora ridendo a voce alta. Si richiedono provvedimenti”.

Nel leggere la nota mostratami dai miei amici increduli (nessuno poteva credere che la ragazza che lavorava li quella notte, che poi e’ una delle mie compagne di stanza) ho detto: “ragazzi, non possiamo lasciarci trattare cosi’! Diciamo tutta la verita’!”…ho preso una penna e ho aggiunto: “da sottolineare che si stavano tutti divertendo tantissimo!”

La ragazza che ha scritto la cosa mi fa un po’ pena. E’ sempre triste, non socializza mai con nessuno e tutte le volte che provo a parlarle in camera mi risponde a mezza bocca. Gia’ il fatto che la sua sia l’unica nota non firmata la dice lunga…tutti gli altri erano fieri di quello avevano scritto…

Lei ha l’aria di chi non riceve un regalo da molto. Magari le compro un fiore e la invito a venire in gita con noi sabato. Potrebbe scoprire che le persone che ridono ad alta voce alle cinque di mattina dopo aver giocato a pallavolo per tutta la notte non necessariamente sono ubriache. Magari non hanno bevuto niente, ma sono semplicmente ebbri l’uno della gioviale compagnia dell’altro.

mercoledì, maggio 13, 2009

Washington Dc, puntata dodici. Bilancio settimanale.

30 nuovi amici su facebook. Provato Sushi, buono. Provato tofu, non mi piace. Sparato per la prima volta, ottimo risultato. Giocato a pallone. Giocato a pallavolo. Giocato a biliardo. Guidato barca. Scritto del più grande incendio degli ultimi 30 anni in California. Visti tre film, uno bello, uno medio, uno brutto. Imparato tre canzoni. Bevuto una birra di troppo. Dormito 30 ore. Lavorato 60. Fatte quattro lavatrici. Stirato (male) tre camice. Rifatto il letto solo una volta. Andata a ballare. Festeggiato una partenza. Stata triste per due giorni. Bevuto il peggior caffè della mia vita. Rimasta bloccata in ascensore per 10 minuti con tre uomini e una donna incinta. Degustato 5 vini americani, peggio di quelli italiani… a me il vino non piace. Ricevuti tre abbracci e quattro baci. Dati altrettanti. Messo piedi nell’oceano. Rotto due unghie. Scottato viso e occhi per via del sole. Fatto giro in barca. Preso due chili. Imparato una 50ina di parole in inglese (di cui sei parolacce), 6 parole in spagnolo, 5 in francese, 4 in tedesco, 3 in libanese, 2 in giapponese e una in russo. Scoperto che “Happiness is true only when shered”. Incontrato 5 persone meravigliose. Fatto barbecue. Aiutato tre o Quattro sconosciuti in piccolo cose. Aiutata sei o sette volte da altri sconosciuti a fare qualcosa. Sono in deficit. Spesi soldi…non so quanti. Guadagnati amici. Scoperto che è da sdraiati che si vede il cielo. Fatto miriadi di foto nel vano tentativo di acchiappare il tempo. Fatto ingelosire fidanzato. Innamoratami per la centodecima volta del mio fidanzato geloso. Rincorso un cane. Tentato di catturare un topo in camera. Fallito il tentativo, deciso di adottarlo. Scoperto che gli italiani sono insopportabili. Provato amore profondo per gli insopportabili italiani. Cantato sotto la doccia. Provato a convivere con una strana sensazione di cui sto ancora cercando il nome.
Scusate, miei sei lettori, se in questa settimana non ho scritto…vedrò di recuperare in futuro.

lunedì, maggio 04, 2009

Washington Dc, puntata undici. Sam.

Sam è un ragazzo che ho conosciuto stasera. Viene dall’America Latina (ma non ricordo da dove esattamente). Ha gli occhi così neri e profondi che l’iride si perde nella pupilla, ma a colpirti non sono gli occhi, ma lo sguardo. Ha la pelle color ebano e dei capelli neri coi boccoli che gli incorniciano il viso.

Si presenta e la prima cosa che nota è la mia stretta di mano. Dice che ne è impressionato. Per me è lo stesso. Mi piacciono le persone che quando si presentano si fanno sentire, che quando ti stringono la mano te la stringono nel vero senso della parola. Solitamente sono persone con la quali entro subito in sintonia.

Mi piace Sam, fin da subito ma non so perché.

Lo incontro per un caso fortuito: tra meno d’una settimana lui parte e io stasera sarei dovuta uscire quindi la probabilità di raccontarvi questa storia era una su un milione. Le persone con cui ho più legato sono tutte uscite stasera ma io non sono andata con loro perché domani (a differenza loro che si sono tirati indietro) c’è una gita e volevo parteciparvi…ma dovendo leggere e recensire un libro entro domenica (oggi è venerdì) se volevo andare alla gita dovevo leggere il libro stasera.

Non mi va di stare in camera. Decido di leggerlo nella saletta dove vedo spesso i ragazzi studiare e parlottare in mezzo alla casa. Leggo per quasi due ore e quando sto per andarmene arriva Sam. Aveva appuntamento con una ragazza italiana per farle vedere un film, ma il loro computer non funziona. Mi chiede se possono usare il mio. Lo vado a prendere, non c’è problema.
Salgo in camera e ritorno col computer. Sam è davvero affascinante…ha qualcosa di tenebroso che sfugge alla mia capacità di capire le persone al primo sguardo.

Dice che è contento che io ci sia anche se ci conosciamo solo da dieci minuti e che io veda il film. Gli chiedo di che tratta e lui: “Del 2005. Del mio 2005”. Avrà vinto un concorso? Era il capitano della squadra di football del liceo? Mi appresto a vedere i cinque minuti di film.
Sam nel 2005 non aveva i capelli, non aveva le sopracciglia, giaceva in un letto d’ospedale incapace di mangiare e parlare. Sam nel 2005 pesava 25 chili meno di adesso, aveva il viso e il corpo ricoperto di cicatrici deturpanti. Sam si riconosceva solo per quegli occhi neri in cui l’iride si perde nella pupilla. Sam nel 2005 ha avuto la leucemia…o “Leukèmia”, come dice lui, che così sembra un male meno cattivo.

Sam fino al 2005 ha sempre condotto una vita sana: mai bevuto, mai fumato, molto sport e vita all’aria aperta. Al momento della diagnosi ha solo girato il volto dall’altra parte, incapace di guardare il medico. Fissava il muro chiedendosi “Perché io?”. Nessuno ha mai risposto a questa domanda negli anni a venire. Ma questo è stato l’unico momento di scoraggiamento di Sam.
Dal momento della diagnosi Sam non ha mai incolpato Dio di cosa gli stesse succedendo. Lo ha piuttosto iniziato a ringraziare ogni giorno. Lo ringraziava per le medicine, per l’equipe medica, per la famiglia intorno. Il dolore? C’era, ma non era colpa di Dio: è stato un modo per meditare e crescere. Sam dal 2005 ad oggi sarà cresciuto almeno 50 anni.

Gli avevano dato 4 settimane di vita. Unica possibilità il trapianto di midollo osseo. L’unico compatibile al 50% è il fratello di 18 anni. Si prova, ma nello stesso reparto sono morte molte persone sottoposte alla stessa operazione da quando Sam vi è ricoverato. Quasi tutte. Forse tutte.

L’operazione e la riabilitazione sono durissime, ma Sam oggi è qui a raccontare a una sconosciuta la sua storia. Si definisce “un miracolo”, dice che è molto cambiato, che è maturato, che quell’esperienza l’ha migliorato. Ora guarda al mondo da una prospettiva diversa e ringrazia Dio per avergliela data.

Sam ha preso midollo dal fratello e a quanto pare è il sangue a caratterizzare i capelli, così quelli lisci e fini che aveva avuto per tutta la vita prima dell’operazione sono spariti. Al loro posto i boccoli e le basette del fratello, nonchè i peli sul petto che Sam non aveva mai avuto prima. Col midollo il fratello gli ha trapiantato anche i capelli.

Si è fatto tardi. Sam va via sorridendo ringraziandomi per la pazienza, e non sa che dovrei ringraziarlo io per quello che m’ha insegnato. Tra i suoi tratti è riconoscibile lo stesso sorriso del ragazzo calvo del 2005, in tutte le foto anche allora sempre sorridente.
Credo che Dio abbia deciso di salvarlo per il suo disarmante sorriso e per le se spiazzanti preghiere. Dio si è accorto che Sam poteva rendere migliore questo mondo. Non so se lo sta facendo, ma stasera ha sicuramente reso migliore il mio di mondo. Il mio modo d’essere.
Non può cambiarti la vita una persona che alla domanda su cosa sia stata la leucemia ti risponde sorridendo: “An interesting experience”. Grazie Sam, sconosciuto dagli occhi neri che tra una settimana m’avrà dimenticato ma che io difficilmente dimenticherò.