venerdì, ottobre 01, 2010

A piedi verso un campo di stelle 3/5

Santiago, puntata tre
Passo dopo passo, incontro dopo incontro


Abbiamo fatto molti incontri sul cammino. Inizialmente non avevamo capito l’importanza di questi sconosciuti che il fato ci metteva affianco e li abbiamo snobbati (chissà quali occasioni ci siamo persi) ma dal terzo giorno ad ogni incontro siamo riusciti a dare il suo valore.

A darci una chiave di lettura giusta per gli avvenimenti è stato un piccolo incidente: pochi chilometri dopo la partenza da O’Cebreiro, mi sono arrampicata su una collinetta per fare una foto e, tornando indietro, mi ha ceduto un ginocchio. Impossibile muovere un solo passo. Non ho fatto nemmeno in tempo a disperarmi che ci hanno raggiunto due pellegrine olandesi: una era un’infermiera e l’altra aveva tutto il materiale per una fasciatura e una pomata miracolosa (emetteva calore a contatto con la pelle). L’infermiera mi ha fatto un massaggio e mi ha detto di riposare qualche minuto. Ho eseguito gli ordini della sconosciuta e ho potuto riprendere a camminare.

Può darsi sia stata una coincidenza ma per giorni abbiamo camminato quasi soli e, giusto in quel momento, è passata una pellegrina che poteva aiutarmi. Non una pellegrina qualunque (che magari nel tentativo di aiutarmi avrebbe potuto peggiorare la situazione) ma una che sapeva esattamente cosa fare e come farlo.

Questo incontro fortuito mi ha spinto a guardare con occhi diversi chiunque mi superasse augurandoci “Buen Camino”. Ho anche ripensato agli incontri che avevo fatto nei tre giorni precedenti quando, concentrata su dolori e disagi, non avevo guardato ai miei vicini con l’occhio giusto.

È stato nel riguardare indietro che ho notato molte coincidenze: la prima persona in assoluto che ci ha rivolto parola aveva un nome importante, è arrivata in un momento di sconforto, ha rallentato il suo passo per tenerci un po’ compagnia, ci ha predetto che ce l’avremmo fatta ed è sparito… è l’unica persona che non abbiamo mai più rincontrato e, non so perché, avevo immaginato finisse così.

Da Ponferrada avevamo incontrato una ragazza ucraina che stava percorrendo tutti gli 800Km del cammino, era partita dai Pirenei e con lei siamo riusciti a comunicare usando tutte le lingue e non usandone nessuna. Noi l’abbiamo aiutata a seguire le indicazioni stradali, lei ci aveva mostrato che l’impresa si poteva compiere. Nello stesso tratto abbiamo incontrato anche una coppia di romani: avevano un metodo tutto loro nell’affrontare il viaggio… ogni ora di cammino mezz’ora di pausa. Ci avevano detto che per riuscire nell’impresa bastava trovare il proprio ritmo, ma io ero ancora nella fase “maratona” per capire cosa mi stessero dicendo.

A Cacabelos abbiamo conosciuto Miguel, un bimbo di sei mesi che viaggiava sulle spalle di mamma e papà. Non so come abbiano fatto ma si sono messi in cammino: la mamma aveva avuto un incidente sulla Tour Eiffel quando era incinta e il bimbo pare sia nato sano per opera di San Giacomo… sentivano di dover ringraziare e l’hanno fatto nel più difficile dei modi.

Mentre camminavo pensando a quanto mi sarebbe piaciuto aver fatto qualche domanda in più a quelle persone, mi ero quasi dimenticata del ginocchio ma, al primo paesino incontrato, una pausa è stata d’obbligo. Avevo appena fatto il proposito di prestare più attenzione alle persone che incontravo sui miei passi che abbiamo incontrato il personaggio più singolare di tutto il viaggio: l’uccello del malaugurio.

In tre minuti che è stato seduto al bar con noi ci ha predetto tre sventure. Vedendo la fasciatura al ginocchio: “mmm… brutta cosa, secondo me è il menisco, mi sa che il tuo viaggio finisce qui, domani non cammini più!”. Dopo poco: “Ah, avete visto le piaghe di quella signora che viaggia con me? Ha preso le pulci, fate attenzione che le prendete pure voi!”. Non pago, prima di andar via: “Mi auguro voi siate sposati… no perché l’80% dei fidanzati che fa il Cammino poi si lascia!”. Ho sperato d’essere nel restante 20%. Comunque il fatto che con le prime due sventure annunciate non ci abbia colto fa pensare(e sperare) che come veggente non valesse un granché.

Per una strana legge di compensazione la tappa più anonima di tutto il viaggio è stata quella che ci ha fornito le migliori conoscenze. Abbiamo incontrato un’altra coppia di fidanzati: Gennaro e Patrizia. Lui ufficiale dei carabinieri, lei insegnante. Patrizia è rimasta in silenzio per gran parte della tappa: pur di farcela stava prendendo un sacco di antinfiammatori e camminava grazie ai bastoni e a delle potenti ginocchiere. Ho sempre pensato che il Cammino non andrebbe fatto così. Bisognerebbe fermarsi quando si sta male, non proseguire imbottendosi di antidolorifici. Il pellegrino moderno però ha una difficoltà oggettiva da affrontare: l’aereo. Una volta che si ha un biglietto aereo prenotato e le ferie che finiscono si è costretti a non seguire i ritmi del proprio corpo ma quelli del proprio impiego lavorativo.

Gennaro invece è un gran chiacchierone: abituato com’è alle missioni all’estero ha il fisico allenato e una capacità d’adattamento spaventosa. In cinque o sei ore di cammino insieme ci ha raccontato un sacco di cose… eventi dei nostri giorni visti con gli occhi delle forze dell’ordine. Leggerli sul giornale o vederli in tv non è lo stesso che camminare fianco a fianco con qualcuno che ti dice “un centimetro più in là e sarei morto”. Non solo, ci ha anche insegnato molto (probabilmente involontariamente) tra quello che deve essere il rapporto tra stampa e organi di polizia. La fiducia reciproca vale più del singolo scoop. Sei ore di lezione che all’università nessuno ti fa.

Gennaro e Patrizia avevano meno giorni di noi a disposizione e avevano programmato tappe più lunghe. Arrivati a Palas De rei noi abbiamo deciso di fermarci, loro di proseguire fino a Melide. In teoria quel giorno non eravamo troppo stanchi e avremmo potuto proseguire anche noi ma decidemmo diversamente per un motivo che neanche noi sapevamo: l’ostello di Palas De Rei ci doveva far incontrare il duo più stravagante dell’intero viaggio… così stravagante che tutte le tappe successive le abbiamo fatte praticamente insieme. Poco dopo di noi arrivarono Bibi e Massi.

BiBi in realtà si chiama Edmondo ma precisò subito: “gli amici mi chiamano Bibi”. Si era appena presentato e già aveva deciso che eravamo amici. Ci è stato subito simpatico. Un uomo di bella presenza, aitante e ovviamente pieno di donne (che lui chiama “pupe”). Ne ha ben tre che lo attendono a casa e benché ami tutte allo stesso modo è per una di queste che cammina: la Luli, con l’articolo davanti, come la chiama lui.

L’idea di venire a Santiago è di Massi: macho e cattolico fervente. È un continuo disastro, ogni minuto combina qualche pasticcio (come il farsi chiudere fuori dall’albergue o il far spaventare tutti per un’allergia alimentare sul petto che poi si rivela essere una semplice irritazione da lametta…) ma ha una cultura religiosa che riesce sempre a mandarci tutti in crisi. Parlare con lui è un continuo interrogare se stessi, Massi è un ormone della crescita spirituale. Parlare con lui di fede qualche giorno mi ha fatto fare tante domande, quante me ne ero fatte in tutta la mia vita.

Anche lui è qui per Luli, un tipetto affascinante che ci cattura al solo sentirla nominare, senza conoscerla. Pare sia un angelo, ma a dirlo non è Bibi (sarebbe di parte dato che è il papà) ma Massi, il di lei insegnante. Sì, perché Luli va ancora a scuola, ha solo 17 anni e all’epoca la attendeva un delicato intervento alla spina dorsale. Adesso è facile dirlo ma, ovviamente, quell’intervento è andato bene.

Bibi per lei ha fatto 106 Km a piedi. Lui dice “il minimo sindacale” dato che 100 Km è la distanza minima da percorrere se si vuole ottenere la Compostela. Per me invece lui ha fatto il massimo: in quei giorni ha camminato solo verso Santiago, ma lui il Cammino lo fa a casa propria… quei 106 Km sono puramente simbolici, un periodo di riposo per chi come lui ogni giorno affronta la vita e, nonostante tutta la fatica, ogni sera ha la forza di giocare sul lettone con la moglie e le due figlie (le tre pupe di cui è innamorato, appunto).

L’ultimo incontro prima dell’arrivo a Santiago è stato di pochi minuti ma illuminante. Io e Francesco ci eravamo fermati vicino all’aeroporto: a Santiago mancavano appena 12-13 Km e dovevamo decidere se arrivare in città in serata o fermarci nel primo posto utile e proseguire la mattina seguente arrivando da pellegrini (quindi un po’ stanchi) in tempo per la messa.

Mentre studiavamo la cartina ci ha sorpassato un signore 60enne di Brescia che proseguiva a passo svelto e non sembrava volersi fermare. Il tempo di dire “Buen Camino” ed è andato avanti. Dopo qualche metro è tornato indietro però: aveva qualcosa da dirci. Abbiamo parlato qualche minuto e lui ci ha detto che era convinto di arrivare a Santiago (noi avevamo già preso la decisione contraria) in serata. Abbiamo provato a dissuaderlo dato che era visibilmente stanco e ci aveva confessato d’aver avuto qualche problema di pressione ma lui era determinato: aveva già fatto 40 Km, una decina in più non lo spaventavano.

Ero esterrefatta: 50 Km in un solo giorno sono 14 ore di cammino! Non ci potevo credere… non sono riuscita a frenare un “Ma come cavolo ha fatto?!” e lui, con una naturalezza pazzesca: “più la meta si avvicina più mi viene la forza e sapete perché? Non si cammina coi piedi… non si cammina che col cuore”.

Pernottammo a 10 Km dalla meta e il giorno dopo eravamo a Santiago. Pensavamo gli incontri fossero finiti invece la città di San Giacomo aveva ancora qualcuno da farci conoscere e, soprattutto, sulla piazza la mattina della messa aveva deciso di farci un’altra sorpresa. Sembrava che ci si fosse dato appuntamento: eravamo tutti lì.

(to be continued...)

1 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

bello bello bello...
il Cammino è un contesto particolare in cui i rapporti, nonostante siano brevi se non brevissimi, si vivono con una certa intensità.
love

5:08 PM

 

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