martedì, maggio 25, 2010

Il cantastorie muto

Qualche anno fa conobbi un singolare vecchietto. Una volta andato in pensione, come molti, aveva intrapreso l’attività di raccontare le favole ai suoi nipotini. Le sue favole però erano vere e i suoi nipotini avevano tutti più di 20 anni e nessun legame di sangue con lui.

Il vecchietto aveva avuto una vita interessantissima, passata tra i mille luccichii del cinema e questa era la favola che voleva raccontare. Pensò di intitolarla “La settima arte” e di farne un libro scritto a più mani: personalmente non scrisse mai una riga di quel libro, ma chiese a ogni amico che aveva incontrato accanto ai riflettori di tutta una vita di scrivere un capitolo. Fu così che nacque il sottotitolo “Lezioni d’autore”.

Nelle aule della Lumsa molti ragazzi si trovarono a sognare di un mondo lontano fatto di lustrini, descritto dalle parole di vecchi registi e sceneggiatori, di attori contemporanei e non, di gente fatta di celluloide. Un mondo del quale il singolare vecchietto non parlava mai direttamente, ma di cui negli aneddoti raccontati da amici e colleghi finiva sempre per essere l’invisibile protagonista. Non parlava di sé, era come se non volesse vantarsi con i ragazzi, come se temesse di essere visto come un mostro sacro, mentre lui voleva solo che i suoi giovani nipotini ascoltassero attenti una favola, senza smettere di pensare a lui come a un nonno.

Quel vecchietto dagli occhi di ghiaccio incantò anche me. Restio a ogni tipo di tecnologia si era circondato di giovani volenterosi che scrivessero le mail e registrassero su pellicola ogni singolo capitolo de “La settima arte”. Mi impegnai per entrare nello staff. Riuscirci significò sveglia all’alba, tante mail, tanti inviti e infinite mini Dv da archiviare e riversare. Stanchezza e soddisfazione.
La seconda, evidentemente, superò la prima: decisi di fare di quel vecchietto il relatore della mia tesi triennale. Scoprii col tempo che ignorava il significato di questo aggettivo: ai suoi tempi la tesi era una, la mia ha le caratteristiche degli elaborati di mezzo secolo fa. Più di duecento pagine scritte in quasi un anno. Un’impresa, come tutto ciò che lui faceva. Un’impresa di cui ancora lo ringrazio.

Continuai a lavorare per lui per qualche anno, poi la mia vita prese una strada diversa: iniziai il praticantato giornalistico e fui costretta a uscire dal suo staff. I due impegni erano inconciliabili. Lui non capì e fece di quella decisione una questione personale. Provai diverse volte a spiegargli che era per la mia realizzazione professionale che avevo dovuto lasciare il suo progetto ma… proprio non riusciva a spiegarsi come si potesse lasciare una favola del genere per scrivere di una realtà che di lustrini ne ha ben pochi. Non gli ho mai detto quanto ho sentito la mancanza di quelle favole durante gli ultimi due anni.

Da quel momento, che per me era un’evoluzione e per lui una “rottura”, passavo a salutarlo solo per gli auguri, Pasqua e Natale. In quelle occasioni vedere quel formicaio di giovani che gli girava attorno mi faceva pensare “è in buone mani”, anche se mi rammaricava sempre un po’ non essere più parte di quelle mani.

La storia che voleva raccontare andò avanti, anche senza di me: il fascino di quel vecchino attirava solo persone estremamente capaci e volenterose e così i suoi amici continuarono a venire alla Lumsa e gli studenti, una volta a settimana, andavano a farsi raccontare una favola.

La settimana scorsa “La settima arte” è stato chiuso dal presidente di Lettere e Filosofia. Anche se la favola non era ancora stata terminata non aveva più senso continuare a scriverla: come poteva esistere “Lezioni d’autore” senza il suo unico Autore? L’Autore che non scrivendo una sola riga teneva le redini di tutta la storia.

Come sua ultima tesista voglio anch’io adesso aggiungere un capitolo a questa favola. L’ho conosciuto quando orami era troppo tardi per vederlo all’opera nel mondo dello spettacolo, per cui vi racconterò l’aneddoto di quando fece una magia: trasformò una battutaccia in una progetto serio.

“Prof, ma la possiamo chiamare The Black?”
“ eh? De.. deee… cosa? Cioè?”
“No guardi, scusi, era una battutaccia!”
“No no, dimmi, son curioso”
“Eh, niente, avevo pensato che Lo-nero tradotto alla lettera in inglese vien fuori The-Black ma mi scusi, è oggettivamente una battutaccia, torniamo al lavoro, scherzavo!”
The Black dici eh… suona bene. Senti, ma se facessimo una rivista su questo seminario? Magari la chiamiamo The Black News!”.

3 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

una delle cose più belle che hai scritto...incredibilmente emozionante...

se fossi un direttore di un giornale ti assumerei solo per questo scritto e lo pubblicherei..

non scherzo..

love

10:54 PM

 
Blogger Monia ha detto...

sei di parte, ma apprezzo

10:57 PM

 
Anonymous Anonimo ha detto...

non sono di parte quando leggo ciò che scrivi.

love

11:00 PM

 

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