mercoledì, luglio 01, 2009

Washington Dc, puntata venticinque. Bilancio finale di un'avventura fantastica


Questo post chiude (o dovrebbe chiudere) l’avventura americana. Conterrà un bilancio fatto di sentimenti e riflessioni iniziate nel momento in cui, mentre alcune delle persone a cui sono più affezionata danzavano la chiuahua dance per salutarmi, il super shuttle mi portava via da quella che negli ultimi due mesi e mezzo è stata casa mia, fino al momento in cui ho rimesso piede a terra in Italia.

Inizialmente quando Francesco mi chiamava o mi mandava un messaggio verso le 6 del pomeriggio per sapere dove fossi rispondevo “Sto andando a Ish”. Questo è successo fino a pochi giorni fa quando mi sono sorpresa a scrivere in un messaggio che rispondeva alla solita domanda con una nuova risposta: “Sto andando a casa”. Non so quanto c’abbia messo la casa internazionale dello studente a diventare casa mia, ma lo è stata. Io quel posto lo considero casa mia. Una delle tre che ho avuto. Io di “house” nella vita ne ho cambiate sei, ma solo la metà sono state “home”.

Tornando ho scoperto che i miei vogliono vendere casa. Una delle tre “home”. Non posso lasciarli un attimo da soli che fanno danni. Anche se a dire il vero in pochi mesi ne ho trovate di cose cambiate. Qualcuno ha trovato finalmente lo stage che cercava, tre coppie storiche della mia comitiva sono scoppiate, due persone hanno lasciato la scuola di giornalismo, mio fratello ora ha i capelli lisci e Francesco è molto più bello di prima. E in tutti i cambiamenti inserirei il fatto che sono cambiata pure io.

Infatti, relativamente alla penultima questione, non posso dire d’esserne certa. Non metterei la mano sul fuoco che Francesco sia davvero più bello di prima perché i miei occhi vedono tutto più bello dopo questa esperienza. Se c’è una cosa che gli ultimi mesi mi hanno lasciato, è un nuovo punto di vista. Visto da qui il mondo è meraviglioso. E non lo dico sulla scia di un sentimento di felicità passeggera causatomi dal post-rientro: lo dico con cognizione di causa. Adesso so che anche il dolore presente in futuro potrebbe sembrarci meraviglioso.

È per questo motivo che ho iniziato a compiere ogni azione come fosse l’ultima: arrivare completamente soli in un posto dove sorprendentemente la gente ti accoglie a braccia aperte, non ti fa mai sentire l’ultimo arrivato e si prende cura di te fin dal primo momento, non è solo sorprendente, ma ti cambia la vita, e te la cambia nella misura in cui sai che quelle persone non hanno secondi fini: per loro non puoi fare nulla per ricambiare, come te sono li per un periodo più o meno lungo destinati ad andarsene, pronti a non rivedersi più. Puoi solo comportarti con altri come loro si sono comportati con te, sperando che gli altri facciano altrettanto innescando un positivo meccanismo a catena.

Se io tornassi tra un anno non troverei una sola delle persone che ho conosciuto. Ma adesso in qualsiasi parte del mondo decidessi di andare so che ho un amico su cui poter contare. In ogni angolo. Un bel guadagno.

Sembra tristissimo aver voglia di instaurare dei rapporti così profondi quando si sa che sono destinati a finire, e per di più a finire nel giro di poco. Io infatti avevo fatto il proposito di non affezionarmi a nessuno. Poi siccome il mio povero cervello viene sempre sopraffatto dall’anarchia imperante nel mio cuore, ho finito per affezionarmi a tutti. Ad alcuni anche troppo.

È stato questo il momento in cui ho imparato che non era triste investire in rapporti che si sa a priori essere destinati a finire, per la paura che potesse farmi soffrire il distacco. Primo perché so che con alcune persone uno pseudo-rapporto si può mantenere, secondo perché anche se non avessi avuto la possibilità elencata nel primo punto, avrei perso l’occasione di prendere tutto ciò (tanto, tantissimo) che le persone mi hanno dato in questi due mesi e mezzo, terzo perché non ha senso aver paura di soffrire. L’ho capito ieri sull’aereo: se si soffre è perché si è vissuto, ci si è affezionati, si ci è divertiti, si hanno condiviso cose, si è dato tanto e ricevuto molto di più. Chi non soffre probabilmente non ha mai provato la felicità… e, come diceva Voltaire, “cento anni di sofferenza valgono un minuto di felicità”. Io ieri ho avuto il mio minuto di felicità (ma questo ve lo racconto dopo sennò perdiamo il filo) e posso dire che Voltaire aveva ragione. Chi non è d’accordo non ha mai stato felice.

In questi due mesi ho sperimentato uno dei misteri della vita. Cercare di non affezionarsi alle persone equivale a non vivere: non si può non gioire degli altri per la consapevolezza che un giorno moriranno. Ci si può semplicemente augurare che quel giorno arrivi il più tardi possibile e comportarsi come se arrivasse domani: senza tenerci niente e dando tutto il possibile a chi abbiamo accanto.

So che sembra strano, ma è così. È come quando mi si è rotto l’ombrello davanti la Casa Bianca. Sono tornata a casa che gocciolavo. Non ricordo chi ci fosse al front desk ad aprirmi la porta quando sono arrivata, ma ricordo esattamente l’espressione che aveva: tratteneva a stento il sorriso. Sembravo appena uscita dalla doccia, quando in realtà in doccia ci stavo entrando. È stato lì sotto che ho realizzato quanto m’era piaciuta la sensazione dell’acqua sul viso, che ho ringraziato i cinesi per aver costruito un ombrello tanto scadente da essersi rotto alla prima folata di vento, e che ho commiserato tutti quelli che per strada camminavano sotto i loro ombrelli e mi guardavano storto senza sapere che si stavano perdendo: si stavano deliberatamente riparando da una delle sensazioni più belle del mondo.

Ecco, alle volte la gente una specie di ombrello per le emozioni. Io a Washington ho capito che bagnarsi è piacevole. E poco importa se arriva il momento fastidioso di doversi levare di dosso i vestiti umidicci che si appiccicano alla pelle…se succede è perché prima si è goduto d’ogni singola goccia che t’ha accarezzato.

Spesso facciamo le cose senza sapere che cosa ci perdiamo. Quando siamo piccoli ci insegnano a proteggerci. Dalla pioggia con l’ombrello, dalla sofferenza con… non lo so con cosa, so solo che ci insegnano a rifuggirla in ogni modo e maniera. Tutti crescono ma pochi diventano grandi: si diventa grandi nel momento in cui si esce da quello che crediamo essere una scelta e invece è solo un meccanismo incondizionato che c’è stato inculcato per quello che si credeva essere il nostro bene. Ma il nostro bene lo sappiamo solo noi e per scoprire quale sia le cose le dobbiamo provare. A cominciare dal chiudere gli ombrelli.

È vero che non sappiamo il valore di ciò che abbiamo finchè non lo perdiamo, ma è altrettanto vero che non sappiamo cosa ci è mancato prima che arrivi. Lasciamo che la pioggia ci cada addosso. È per questo che gli ombrelli li dovrebbero vietare per legge. Ish mi ha insegnato che ci vuole un minuto per incontrare qualcuno, qualche ora per piacergli, giorni per affezionarsi ma ci potrebbe volere una vita per dimenticarlo. È per questo che se anche si perdono di vista gli amici, si dovrebbe essere grati loro per tutta la vita per i ricordi che ci hanno regalato e che ci accompagneranno per sempre.

Grati per sempre perché so che anche se domani potrei non ricordarmi più il colore degli occhi di qualcuno, lo sguardo che ci siamo scambiati una sera non lo dimenticherò. Potrò scordarmi qualche nome, ma difficilmente i sorrisi e le lacrime.

E la più grande lezione me l’ha data Kungfu Panda. L’avevo già viso in Italia prima di partire ma è stato a Washington che una frase contenuta nel film visto tutti insieme nel sottoscala mi ha colpito. Non saprei dire se la cosa sia dipesa da una sfumatura differente nella traduzione o dal fatto che la seconda volta ho guardato il film col nuovo punto di vista che l’esperienza americana m’ha regalato, ma so per certo che quando ero in Italia la frase mi colpì, quando ero a Washington la capii appieno:

Yesterday is history, tomorrow is a mystery, but today is a gift, that’s why we call it “present”.

Mi piace il presente nella sua sfuggente profondità di un momento che è già passato dall’istante in cui ho iniziato a scrivere questa frase delirante.

L’ultimo insegnamento l’America me lo ha lasciato quando ero già in Italia. All’aeroporto ad aspettarmi c’era Francesco. (Questo è il momento di felicità cui accennavo prima). Non credo che ci siano abbastanza parole in una lingua per descrivere ciò che ho provato. In un istante sono spariti tutti, il silenzio era rotto solo dal rumore del suo sorriso. Un abbraccio fatto d’un attimo d’eterno, le campane nella testa e le farfalle nello stomaco…ho provato tutte le sensazioni dello scibile umano nello stesso momento. Non so esattamente quanto tempo dopo aver toccato il cielo con un dito sono riatterrata sul pianete terra, so solo che quando è successo ero imbraccio a Francesco che mi teneva senza alcuna fatica nonostante i miei 4 Kg in più, e non mi ricordavo assolutamente quando m’ero messa in quella posizione.

È stato nel suo bacio che ho capito che nella vita non ci si deve sforzare di evitare le cose che possono farci soffrire (come andare dall’altro capo del mondo lasciando tutto qui alla partenza e parte lì al ritorno) perché alla fine di tutto nessuno si ricorda quanti o quali respiri abbia fatto durante la sua vita. Tutto ciò che conta davvero sono i momenti che il fiato te lo hanno tolto.

5 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

di sicuro il post più bello in assoluto...

11:36 PM

 
Anonymous Anonimo ha detto...

non mi sono commosso solo perchè avevo gente intorno...

puoi scrivere un libro, te l'ho già detto...

hai detto cose stupende e sacrosante: che chi non soffre è perchè non ha vissuto attimi di felicità. E che vale la pena di vivere certe emozioni anche con la consapevolezza che certe cose finiscono. Mai avere paura di affezionarsi..

Me ne sto accorgendo anche io qua ai mondiali...

Sei eccezionale.

Love

10:21 AM

 
Anonymous Anonimo ha detto...

Ma non sarai un po' troppo assente da questo blog? Mi hanno chiamato i proprietari di blogger e m'hanno di controllarti. Se scrivi poco ti cancellano il blog...

8:16 AM

 
Blogger Monia ha detto...

Caro Anonimo,

sto facendo uno stage superimpegnativo: inizio sempre la mattina e spesso e volentieri finisco molto tardi... conto ch tornerò a scrivere quando lo stesso sara' finito (settembre) perchè adesso proprio non ho il tempo materiale per scrivere... e la cosa mi dispiace davvero molto.

9:27 AM

 
Anonymous Anonimo ha detto...

Beh puoi sempre raccontare di questo stage come hai fatto per il precedente...

11:34 AM

 

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